Onorevoli Colleghi! - Con la ristrutturazione delle Forze armate e l'adozione del modello professionale, il criterio di gestione dei «cosiddetti» alloggi di servizio deve essere profondamente modificato. È da premettere che il modello in atto, così come definito dalla legge 18 agosto 1978, n. 497, era già entrato in crisi per contraddizioni intrinseche alle stesse regole adottate. In particolare è risultata di difficilissima applicazione la norma che prevedeva la concessione, per un periodo di tempo determinato, di durata prefissata (6-8 anni) o in relazione a un determinato incarico.
      Il sistema della rotazione temporale contraddice le ragioni stesse dell'assegnazione, ragioni che sono, di fatto, di carattere sociale: reddito familiare, numerosità della famiglia, difficoltà di inserimento nella nuova sede. Il fattore mobilità, che avrebbe dovuto essere quello principale, ha finito per essere condizionato fortemente dagli altri fattori. È del tutto evidente, infatti, che in presenza di un reddito familiare che di anno in anno si limita, sostanzialmente, a recuperare l'inflazione, specialmente nei ruoli dove la carriera militare si svolge all'interno dello stesso livello retributivo, le esigenze di protezione sociale risultano in aumento anche a causa di un maggiore carico familiare dovuto all'aumento dei figli. È questa la causa principale che ha portato molti utenti a sostenere la richiesta di modificare le norme originarie per prevedere forme di continuità nel titolo di concessione.
      Oggi soddisfare la domanda di protezione sociale nei confronti del personale militare significa ragionare su numeri decisamente

 

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più elevati di quelli del passato e mettere a disposizione risorse più sostanziose, tenendo conto che il «volontario di truppa» sarà l'utente più numeroso e con un reddito che nel tempo tenderà a rimanere su livelli medio-bassi.
      Per queste ragioni crediamo sia necessario approvare norme che consentano di valorizzare il patrimonio esistente attraverso l'alienazione di parte di esso agli attuali utenti e il reinvestimento degli utili da parte del Ministero della difesa al fine di:

          1) avviare un programma straordinario per arrivare alla realizzazione di 30-40 mila alloggi nuovi da assegnare ai volontari di truppa;

          2) utilizzare la vendita diretta agli utenti di un primo e significativo lotto del vecchio patrimonio facendo di questo passaggio il primo passo di un progetto più ampio che potrà coinvolgere anche capitali privati ed enti locali;

          3) semplificare il meccanismo di vendita per procedere rapidamente, privilegiando l'alienazione di lotti interi, garantendo sia la pubblica amministrazione sull'utilizzo del ricavato (pensiamo ad una formula che garantisca tra il 50 e il 60 per cento del valore di mercato) sia gli attuali utenti.

      Sono questi gli elementi qualificanti per affrontare la questione degli alloggi militari, che può essere risolta soltanto in un quadro di azioni positive sospendendo, quindi, per un periodo transitorio le procedure di sfratti generalizzati, dalle quali scaturirebbe soltanto un forte contenzioso amministrativo e sociale.
      Non riteniamo che lo strumento della cartolarizzazione sia applicabile agli alloggi di servizio della Difesa per molte ragioni.
      La prima di esse consiste nel fatto che il patrimonio abitativo della Difesa deve essere rinnovato e ampliato proprio in relazione alle esigenze del nuovo modello di difesa adottato dalle Forze armate italiane con l'abolizione della leva obbligatoria.
      Un'altra ragione di fondo è da ricercare nella condizione socio-economica degli attuali assegnatari, il cui reddito non è sicuramente elevato. Infatti la continuità nella concessione è subordinata alla presenza di un reddito familiare annuo lordo non superiore ai 35 mila euro aumentato di ulteriori 1.109 euro per ogni familiare a carico, oltre il terzo.

 

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